Infinito

Infinito

Forse ho trovato una nuova dimensione. In cui viaggiare e vagare, in cui conoscermi.

È cominciato facendo Training autogeno, stavo cercando di svuotare la mente, e mi sono trovato a spingere i pensieri contro le pareti della mia testa, come fossero inscatolati.

Non la stavo svuotando: stavo nascondendo tutto sotto il tappeto, ai margini della scatola, finita, chiusa. Come smetto di schiacciarli contro la parete ecco che cadono giù, rotolano verso il centro della scatola. Ed ecco che la mente è piena e affollata.

No. Volevo svuotarla davvero, senza temere di perdere informazioni – scrivendolo ora suona perfino ridicolo. Ho tentato di aprire all’infinito la mente, di dischiuderla, e in questo infinito di porre pensieri e preoccupazioni.

E così la mente si è aperta, come una scatola di scarpe i cui lati vengano strappati e appiattiti. Un infinito largo e lungo, ma piatto. Un passo iniziale, ma ancora non basta.

Sentivo questo infinito essere confinato a sua volta. Non volevo nessuna costrizione, dunque ho cercato di estendere questo infinito. Prima aggiungendo altri fogli, come in una risma di carta. Poi ruotandoli, intersecandoli, infiniti piatti che si tagliano, si incontrano.

Non bastava. Qualcosa conteneva e limitava ancora questa rete discreta di piatti infiniti. Mi serviva un infinito continuo.

A questo punto della ricerca già qualcosa stava accadendo in me, la stessa rara sensazione di capovolgimento, di ebbrezza, provata alcune volte all’inizio facendo training autogeno – non mi capitava da molto tempo, perché la cercavo di proposito -, e una volta meditando con A. – complice quella volta il dolore alle gambe per la scomoda posizione.

È una sensazione bellissima, di libertà. Non appena ci si rende conto di starla vivendo già si rischia di perderla, solo pensandola. Non va pensata, va vissuta, sentita, goduta, in essa bisogna immergersi e nuotare, da essa sospinti e sollevati. Sono sicuro sia solo l’inizio.

Dunque questa ricerca dell’infinito mi ha portato alle porte della conoscenza. E la trama dei mie infiniti si infittisce sempre di più, sempre di più, ed il miracolo accade, l’imperscrutabile passaggio al continuo. Ora è ovunque! Riempie tutto lo spazio delle tre dimensioni, e finalmente inizio a sentirmi fluttuare in esso.

Ma ancora non basta. Questo infinito, così grande un momento fa, ora lo vedo misero. Un misero infinito che esiste in un infinitesimo lasso di tempo, e poi muore e rinasce in ogni istante. Una nuova trama, fitta ma discreta, ha fatto la sua comparsa in scena: la trama degli infiniti momentanei nell’immensità del tempo.

E così espando ancora il mio infinito, infinito nel tempo! Non esiste più ora, e ora, e ora, ma esiste e basta, non ha senso chiedersi quando, non ha senso chiedersi se esisteva o esisterà. È continuo nel tempo.

E da ultimo, ecco che lo spaziotempo non basta più, che quattro dimensioni si mostrano nella loro pochezza.

Qui le parole iniziano a vacillare, a non essere sufficienti per descrivere le dimensioni nelle quali si espande il mio infinito, e di nuovo tutto d’accapo, e infinite espansioni infinite di infiniti infiniti, e tutto questo e molto altro è il mio unico infinito.

Lì per qualche istante ha vagato la mia mente e ha trovato la quiete, lì per qualche istante ha riscoperto le sue origini e il suo regno, lì per qualche istante io ho trovato me stesso, per qualche breve, brevissimo, infinito istante.

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TheDuck

Un papero in una bottiglia. Come ci è finito? Come può uscirne? La risposta gli resta straordinaria e misteriosa. A volte la intuisce, non sempre. Raramente la mette in atto, ma che gioia, che gioia quando accade! E che soffocamento rientrare nella bottiglia. /// A duck in a bottle. How did he get in there? How to get out? The answer remains mysterious and wonderful. Sometimes he grasps it, but not always; sometimes he does it, and what joy when it happens! And how suffocating to get back in.

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