Il contadino e l’aratro

Il contadino e l’aratro

Un contadino spingeva il suo aratro.

Era un vecchio aratro con la lama arrugginita ed il legno marcio, e il contadino faticava proprio un sacco trascinandolo su e giù per il lungo campo. Non aveva cavallo per trainarlo, ne’ strumenti per per ripararlo, ne’ conio per comprarne uno nuovo. Tuttavia il contadino si alzava tutte le mattine, sapendo di dover spingere il suo aratro fino al tramontare del sole, e tutto sommato contento di doverlo fare. Si sa, nella vita tutti hanno da impegnarsi: e bisogna ammettere che il nostro contadino si impegnava davvero molto.

Ma attento, caro lettore: non vorrei che tu lo possa giudicare male. Il contadino non s’alzava mai assonnato, non si vestiva mai annoiato, non imbracciava mai l’aratro rassegnato, ne’ mai sedeva a tavola la sera rattristato dal suo destino. Che razza di uomo sarebbe mai questo! No, il nostro contadino amava il suo riposo, il suo corpo e il suo lavoro – anche se, certamente, non pensava di farlo per sempre.

Impugnando l’aratro ne accarezzava il legno, riconoscendo ogni gobba ed ogni asperità; lo spostava sul campo e iniziava a spingerlo, soppesando ogni passo. Ogni zolla gli sembrava diversa, ogni ombra proiettata dal sole, mutevole istante dopo istante, lo affascinava. Curioso com’era, ogni passo gli sembrava offrire un’infinità di nuove possibilità, e dunque ogni passo meritava di essere vissuto proprio con grande attenzione.

Un giorno il contadino, nello spingere il suo aratro, si imbatté in una curva. La cosa lo sorprese non poco: tutto sommato aveva percorso avanti e indietro quel campo centinaia di volte, procedendo dritto come un fuso. Tutto contento, il contadino si precipitò ad esplorare la novità che il suo campo gli stava offrendo – certamente alla velocità concessa dal dover trascinare un aratro vivendo con attenzione passo dopo passo, o forse appena appena più svelto.

Dietro la curva trovò una cascata. Nel vederla si rese conto d’essere assetato, più di quanto non fosse mai stato in tutta la sua vita; e lo trovò strano, poiché fino ad un istante prima gli pareva d’essere appagato. Eppure più guardava la cascata più sentiva svegliarsi in lui una sete nuova, vitale; e gli parve d’aver bevuto, fino a quel momento, solo per dovere.

Un sorso, due, dieci, mille, non bastarono a soddisfarlo – ne’ sarebbe stato gentile da parte dell’acqua, dopo averlo svegliato, riportarlo al torpore della soddisfazione. Il contadino gettò i suo abiti su una roccia, nudo discese nella pozza, si graffiò sulle rocce, ed il suo sangue si mescolò alla fonte e all’aria e alla terra. La cascata lo ritenne meritevole, e s’aprì per lui, separandosi in due imponenti tendaggi scroscianti. Non privo di timore, l’uomo che fu un contadino attraversò.

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TheDuck

Un papero in una bottiglia. Come ci è finito? Come può uscirne? La risposta gli resta straordinaria e misteriosa. A volte la intuisce, non sempre. Raramente la mette in atto, ma che gioia, che gioia quando accade! E che soffocamento rientrare nella bottiglia. /// A duck in a bottle. How did he get in there? How to get out? The answer remains mysterious and wonderful. Sometimes he grasps it, but not always; sometimes he does it, and what joy when it happens! And how suffocating to get back in.

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