Forse dovrei andarmene, qui sto male

Forse dovrei andarmene, qui sto male

Il me diciannovenne si apre e continua a cercarsi, investigando il suo malessere interiore tra poco credibili citazioni letterarie e semplici problemi quotidiani. Nelle pagine precedenti, Scaricato a 19 anni, rifletteva sulle forti emozioni provate per la prima volta in seguito a una rottura.

17/10/12 – 23:49

Solo ora capisco quanto Dostojeski avesse ragione, nonostante non sappia come scrivere il suo nome. (Nota dal futuro, scusa Fyodor). Ma questo fa parte della malattia.

Forse dovrei andarmene. Dovrei forse andarmene? Ho paura che fuggirei solo me stesso, anche se non è un’idea mia, ma di Seneca.

E allora perché non farlo?

Qui sto male.

Lo so, lo riconosco – solo il malato parla sella sua malattia (nota dal futuro: come in Scaricato a 19 anni, sentivo in quel periodo una notevole vicinanza con Zeno Cosini). Potrebbe seguire una lunga lista di ciò che va male, e seguirà.

[…] ma resto intrappolato nei meandri della mia testa. […]

Non me ne frega un bel niente della facoltà che sto frequentando, ne’ ho il tempo di far sì che me ne freghi qualcosa.

Persone amore magia io tutto. Tutto potrebbe essere forse riassunto in queste poche parole: non ho tempo.

Ma è ridicolo e lo sai. Sai che se avessi più tempo sarebbe solo peggio.

Perché sei così insicuro, hai bisogno di conferme? Che fine ho fatto?

Imponiti prepotente spavaldo sicuro deciso impulsivo magico.

Ho eretto io questi muri
invalicabili pur fatti di carta.

Basterebbe scagliare la prima bomba
piccola, inarrestabile
e il labirinto brucerebbe
come un castello di carta.

E osservo dal balcone di carta
il mondo lontano,
il muro sopra di me.

8/11/12 – 01:00

Basta. Senza più giri di parole ho deciso di scrivere quello che mi turba, scrivere la malattia senza più far finta ci sia, o senza più considerare (nell’eventualità che ci fossero) coloro che mi osservano.

Scrivo la mia malattia, sperando di guarire o di piombarci dentro ancor di più, come lo Zeno che ancora non ho finito di leggere.

Non è facile spiegare cosa sento.

Piano e concreto, questo potrebbe essere un buon punto di partenza. Non leggo più.

Vabbè. Pennac parla della liberà del lettore, Capra nel Tao della Fisica della possibilità di tentare innumerevoli sentieri.

Cazzi loro, dico io.

Sono d’accordo, voglio dire, ma sto esagerando. Questa cosa si riflette su una più generica fottuta apatia.

Ma l’unico pericolo che sento veramente
È quello di non riuscire più a sentire niente

Potrebbe essere questo il fondamento di tutto? Sono diversi mesi che ci penso, ma non sono sicuro sia così.

Bramo l’emozione, in maniera infantile, nevrotica, incapace di ottenerla. Per questo mi butto nello sport. Emozione, allenamento, quando mi riusciva. Ma ora questo – lo chiamerò tarlo, ma adotterò molti altri termini – si è infilato anche lì.

Elezione capitani. […]. Io. Solita inerzia, bella lì sei forte. Abbiamo un problema, non ti ascoltano. Questa è solo la più recente.

Potrebbe il tutto essere ricondotto a un calo di fiducia in me stesso? Non parlerei di fiducia. So che posso fare tutto. Facile vivere in potenza. Non funziona.

Non sottovalutate, osservatori (vedi, non posso fare a meno di pensare ci siate. Giudizio? Degli altri? Mio? Da quando? Perché?) la profondità di queste pagine. Sto indagando, percorrendo un tortuoso sentiero a piccoli passi. Un po’ più realistico del solito.

Faccio fatica nelle relazioni con le persone. Imbarazzo, senso soffocante, come se ci si aspettasse qualcosa da me. Come se non fossi all’altezza di quell’altro con cui faccio tal cosa. Ma me le dico da solo, queste cose.

H.J. Così stronzi, ma pare funzionare. Una fottuta percentuale di arroganza, strafottenza, figliodiputtanaggine ci vuole. Poi rieccheggiano le parole del R., il tuo modo di incazzarti e urlare non incute alcun timore.

Grazie Francè, Il potere è nella mente.

Attività apatia tempo studio sport persone.

Talvolta mi è venuto da chiamarla depressione. Ognuno ha i suoi segreti. Le sue debolezze. I suoi momenti di bisogno o confessione.

Seguono un paio di righe confuse, e la narrazione si interrompe bruscamente.

TheDuck

Un papero in una bottiglia. Come ci è finito? Come può uscirne? La risposta gli resta straordinaria e misteriosa. A volte la intuisce, non sempre. Raramente la mette in atto, ma che gioia, che gioia quando accade! E che soffocamento rientrare nella bottiglia. /// A duck in a bottle. How did he get in there? How to get out? The answer remains mysterious and wonderful. Sometimes he grasps it, but not always; sometimes he does it, and what joy when it happens! And how suffocating to get back in.

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